Formazione e tecnologia: un nuovo modello di apprendimento

“Lo sviluppo di un nuovo modello di formazione legato alla tecnologia è il Sacro Graal degli ultimi 20 anni”. È l’osservazione con cui il prof. Luca Solari ha aperto la conversazione con il nostro CEO Edoardo Gironi tenutasi all’Università degli Studi di Milano il 6 giugno 2022.

Ed è stato il tema centrale del dibattito, durato oltre un’ora e arricchito dagli interventi del pubblico presente. Un’esplorazione a ruota libera di cui abbiamo cercato di fissare alcuni punti significativi.

Autonomia o controllo?

Il prof. Solari ha detto di essere rimasto particolarmente colpito dal concetto di surround. È una delle 5 azioni che compongono il modello LCD e prevede di predisporre una serie di oggetti di apprendimento di cui il learner fruirà in autonomia. È uno dei principali punti dolenti per i formatori odierni: quello del controllo. Se non ho le persone sott’occhio, come faccio a controllare che imparino?

La verità è che l’apprendimento coatto non esiste. È semplicemente impossibile. In questo campo il controllo è un’illusione.

L’apprendimento si realizza davvero quando una persona decide di apprendere.

Tale decisione prende vita quando le persone trovano qualcosa di significativo e adatto a loro, in termini di spazio, tempo e modalità. Il nuovo paradigma riguarda non solo la formazione in sé, ma tutta la cultura di un’organizzazione. Finché tratti i dipendenti da adolescenti, con sistema di controllo e punizione, avrai una risposta del tipo “meno posso fare e meno faccio”. Si tratta di cambiare approccio e puntare sulla responsabilizzazione dei learner (adeguatamente motivati).

Relazione significativa

Le neuroscienze sottolineano l’importanza centrale della creazione di relazioni interpersonali significative durante l’apprendimento. E il nuovo modello di formazione riserva ampio spazio a questo aspetto, a partire dall’adozione della flipped classroom.

In aula non si va per ascoltare l’esposizione di contenuti da studiare dopo a casa. Al contrario: temi e concetti  li si studia prima, usando gli oggetti di apprendimento predisposti. In aula fisica si va dopo, a fare condivisione, sperimentazione ed esperienze.

Le condivisioni e le collaborazioni possono aver luogo anche in situazioni diverse dall’aula. Forum e messaggerie sono le prime cose che vengono in mente, ma la creatività dei facilitatori può elaborare le soluzioni più diverse.

Ogni instructional designer sa bene che tra i suoi compiti principali c’è quello di creare le condizioni e gli ambienti adatti per il social learning.

La skill fondamentale

Che cosa deve saper fare un professionista  per realizzare il nuovo modello di formazione con il supporto della tecnologia? Qual è la skill fondamentale di un L&D manager oggi? La risposta è semplice ma impegnativa.

Spostare l’attenzione dal task allo sviluppo personale.

Si tratta di passare da una logica di reattività a una di proattività. Autonomia, motivazione e responsabilizzazione delle persone richiedono un atteggiamento radicalmente diverso dalla formazione tradizionale. Cioè: i learner non sono discenti da addestrare, ma individui da aiutare a crescere, come persone innanzitutto.

Intentional Learning: l’apprendimento è ovunque

Intentional learning: ovvero quando la persona che vuole imparare agisce in modo proattivo. Come si diceva una volta: con piena coscienza e deliberato consenso. Le persone, specie in età adulta, imparano davvero qualche cosa soltanto quando ne hanno un interesse reale. Quando lo vogliono davvero. 

L’aggiornamento (apprendimento) continuo è strategico non soltanto per le organizzazioni ma anche per le singole persone. È fondamentale per non trovarsi tagliati fuori da un mercato del lavoro che non smette più di evolvere e trasformarsi.

Come si comporta un learner intenzionale, cioè una persona che si prende cura attivamente della propria formazione continua? 

Ne hanno parlato in questo articolo di un paio di anni fa Lisa Christensen, Jake Gittleson e Matt Smith, esperti di McKinsey. La base di tutto è un concetto di apprendimento molto diverso da quello di formazione tradizionale. Cioè:

ogni momento è buono per apprendere, anche e soprattutto quelli non formali.

Intentional learning significa avvicinarsi ad ogni situazione con l’intenzione di trarne un apprendimento, grande o piccolo che sia. Può essere una riunione, una telefonata, la stesura di un report, la partecipazione a un evento. Se ci arrivi con la giusta consapevolezza, anche l’accadimento più piccolo può essere utile alla tua crescita.

Servono per questo almeno due caratteristiche. Avere quello che Carol Dweck ha chiamato growth mindset, cioè la consapevolezza che è sempre possibile crescere e imparare. E coltivare sempre la curiosità, cioè l’apertura alle nuove idee e la capacità di fare connessioni tra concetti differenti.

Su queste basi, apprendere in modo intenzionale è il risultato di una sequenza di azioni deliberate molto semplice:

  • individua in quali aree vuoi accrescere la tua conoscenza o le tue competenze;
  • definisci obiettivi molto precisi e focalizzati;
  • sperimenta;
  • chiedi feedback esterni.

E assicurati di avere sempre lo spazio mentale e il tempo per riflettere con attenzione su ciò che stai facendo e apprendendo, così da mantenere viva una consapevolezza puntuale dei tuoi bisogni e dei tuoi progressi. È quello che gli anglosassoni chiamano deliberate practice.

Quando si tratta di formazione digitale il discorso cade di solito su argomenti quali il software i dispositivi le piattaforme. Ma è altrettanto fondamentale il modo in cui si pongono e agiscono le persone in apprendimento.

Se continuiamo ad avere discenti anziché learner, nemmeno il cluster digitale meglio progettato potrà dare i risultati desiderati.

Creare la Learning Experience

Learning experience, ovvero: perché non basta comprare tecnologia per avere una formazione che funziona. Il nostro partner Docebo è uno degli LMS più solidi e potenti al mondo. Ricco di articolazioni e funzionalità, può davvero portarti in mille direzioni, come i leggendari mega-svincoli delle grandi highways: i learner più differenti possono trovare ciascuno la strada più adatta a sé.

Possono trovarla, però, non significa che sicuramente la troveranno. Dipenderà infatti dalla qualità dell’esperienza che potranno vivere. Proprio questo è uno dei compiti irrinunciabili degli specialisti di formazione digitale: curare la learning experience.

Non c’è apprendimento senza coinvolgimento.

Ciò, in verità, è sempre stato vero. Ma nell’ambiente digitale diventa un imperativo ancor più stringente. Curare l’esperienza dell’utente sull’LMS significa facilitargli la vita nella ricerca dei contenuti migliori per lui, utilizzando al meglio i numerosi e differenti strumenti a disposizione.

Come tutti nel mondo attuale, anche i professionisti della formazione digitale si trovano a operare in un ambiente complesso, dinamico e mutevole. La sfida continua è trovare le soluzioni più adatte pescando in una gamma di strumenti molto ampia. Si va dall’Intelligenza Artificiale al social learning, dalla gamification al microlearning e a molte altre sfaccettature.

Il concetto di learning experience è il riferimento per creare il giusto coinvolgimento che ogni learner si aspetta di trovare una volta che accede all’LMS.

Come si crea una buona Learning Experience?

Non esiste una sola risposta. Ad esempio, la forza vendita ha apprende soprattutto in mobilità, quindi lo sforzo sarà di allestire la piattaforma in funzione della fruizione mobile. Per chi lavora su macchinari specifici la necessità è capire come si usano e quali sono i rischi di uno scorretto utilizzo. Mentre i neoassunti hanno bisogno di acquisire le conoscenze generali di base.

Insomma, l’unica regola universale è quella di ricordare che esistono differenti necessità, comportamenti, ritmi e modalità di apprendimento. 

Alla base ci sono due professionisti: l’esperto di user experience (UX) e l’esperto di user interface (UI). Il primo analizza i dati dei learner e le esigenze aziendali e crea un primo prototipo di una esperienza formativa.

Successivamente l’esperto UX ha il compito di creare un buon bilanciamento tra estetica e fruizione dei contenuti. Questo non significa semplicemente scegliere le immagini belle o il font adatto, anzi. Si tratta di saper gestire le molteplici variabili in gioco per decidere come e dove inserire i vari contenuti in modo che la fruizione sia fluida ed efficace.

Quanto sopra è la base per la creazione della learning experience, la quale poi  – secondo il metodo APPrendere – verrà sviluppata in collaborazione con il cliente.

Per tale sviluppo servono ulteriori professionalità, che possono cambiare in funzione del tipo di progetto.

Servirà il lavoro di un buon graphic designer, ad esempio. Inoltre, le competenze di un developer che conosca HTML e CSS sono indispensabili per la personalizzazione specifica della learning experience, andando oltre gli standard della piattaforma usata.

E ancora. Un esperto della materia su cui verte l’apprendimento per assicurare la qualità dei contenuti, ma anche un esperto di story telling, un videomaker, un musicista. Non ci sono davvero limiti all’eterogeneità di un team dedito allo sviluppo della learning experience digitale.

Lo scopo finale è  fare in modo che il learner viva un’esperienza tanto piacevole quanto utile, e quindi torni volentieri per continuare la sua crescita, professionale e personale.

LIFOW: cos’è e perché è importante

LIFOW è un acronimo in circolazione da poco e riassume il nuovo paradigma della formazione secondo la formulazione di Josh Bersin. Significa Learning In the Flow Of Working, cioè “imparare restando nel flusso del lavoro”.

Non si tratta soltanto di ottimizzare il tempo impiegato, evitando distacchi prolungati dall’operatività. Il punto sta anche, anzi soprattutto, nel sincronizzare l’apprendimento con il bisogno reale. Cioè:

fare in modo che le persone possano accedere alle informazioni nel momento in cui sorge una domanda, un dubbio, la necessità di rinfrescare la memoria.

Fin qui, la formazione è stata organizzata – e in molti casi continua ad esserlo – secondo momenti specifici, dedicati interamente ad essa. Ci sono le giornate passate nell’operatività lavorativa e le giornate passate in aula a coltivare nuova conoscenza.

Il punto debole di questo modello è che i contenuti incontrati nella formazione non vengono applicati il giorno dopo. Restano imballati dentro il magazzino mentale fino al giorno in cui si presenta l’occasione di tirarli fuori e usarli. Spesso e volentieri, però, a quel punto sono deteriorati, o evaporati completamente.

La persona fa uno sforzo supplementare per andarli a recuperare, e trova disponibile solo una frazione di ciò che aveva imparato a suo tempo. O meglio: che non aveva imparato. Perché se ha scordato tutto o buona parte degli argomenti oggetto della formazione, significa che l’apprendimento non ha avuto luogo.

Learning In the Flow Of Working

Il modello LIFOW, invece, prevede l’allestimento di un pacchetto di risorse informative e formative organizzato in modo tale che il learner sia in grado di accedervi quando la pratica lavorativa gli presenta un problema. Né prima, né dopo. Né tanto in anticipo da dimenticarsene, né quando ormai è troppo tardi.

Questo meccanismo presenta almeno due benefici:

  • fornisce alle persone un supporto concreto, reale e operativamente utile;
  • consente un apprendimento più robusto.

Infatti, acquisire una determinata informazione nel momento in cui l’attenzione è al massimo, perché il bisogno di imparare è concreto e impellente, favorisce un’assimilazione ampia ed esauriente.

E applicare la nuova conoscenza immediatamente, con una o più azioni e comportamenti vissuti nel reale, favorisce un consolidamento rapido e robusto di quanto appreso.

Quali sono in pratica gli strumenti per applicare il modello LIFOW? Moltissimi tra quelli disponibili nel mondo digitale. Possiamo utilizzare il microlearning, i video brevi, i job-aids. È decisivo assicurare un’accessibilità rapida e costante al materiale, con particolare attenzione alla fruizione mediante i dispositivi mobili.

Insomma: non è più la persona che va alla formazione, ma è la formazione che va alla persona.

Lifelong Learning e Learning Cities

La formazione continua, nota anche come lifelong learning, non è certo una novità emergente. È anzi un’esigenza ormai consolidata di ogni azienda e di ogni persona.

Di ogni azienda, perché è indispensabile avere collaboratori sempre al passo con il continuo e veloce flusso di cambiamenti di mercato, di processo, di prodotto, di ambiente.

Di ogni persona, perché anche a livello individuale è altrettanto indispensabile essere costantemente in grado di dare un contributo di valore alla propria organizzazione, nonché restare interessanti agli occhi delle altre qualunque cosa succeda nel posto di lavoro attuale. Scriveva Alvin Toffler già nel 1970:

“Gli analfabeti del XXI secolo non saranno coloro che non sapranno leggere o scrivere, ma quelli che non sapranno impararedisimparare e reimparare”.

Il lifelong learning è l’implicazione naturale delle caratteristiche di questa nostra epoca. Cambiamenti continui e veloci costringono ad un adeguamento altrettanto continuo e veloce delle competenze di ogni tipo, da quelle tecniche verticali a quelle trasversali. 

Come ci ricordano Kadakia e Owens nel loro libro pubblicato in Italia a cura di APPrendere, affinché ciò accada è necessario che la formazione assuma le forme, i modi e i tempi adatti a questa medesima epoca di velocità e cambiamento. Il modello LCD prevede il concetto di cluster, analogo a quanto già condiviso con i partecipanti al nostro percorso Silverline:

non percorsi lineari di insegnamento, bensì ambienti articolati di apprendimento, in cui un soggetto facilitatore crea le condizioni per imparare in modo continuo ed efficace.

Ambienti di apprendimento: le “learning cities”

Questo concetto sta sempre più prendendo piede presso gli specialisti dell’apprendimento e viene applicato ai livelli più diversi. Ad esempio, l’Institute for Lifelong Learning dell’UNESCO ha lanciato il Global Network of Learning Cities. L’intento è quello di favorire lo scambio di esperienze, idee e strumenti al servizio dell’apprendimento continuo degli adulti.

Secondo l’UNESCO, una città può considerarsi una “learning city” quando:

  • mobilita risorse in ogni settore al fine di promuovere l’apprendimento inclusivo in ogni ordine e grado educativi;
  • rilancia le attività di apprendimento nelle famiglie e nelle comunità locali;
  • facilita l’apprendimento per e nel luogo di lavoro;
  • estende l’uso delle moderne tecnologie per l’apprendimento;
  • potenzia la qualità e l’eccellenza nell’apprendimento;
  • coltiva una cultura che prevede l’apprendimento come attività costante lungo l’intera vita di una persona.

Si noti come questa check-list valga per qualunque ambiente. Applicata all’azienda, è un potente strumento di rilevazione del tipo di cultura che vige e che stiamo coltivando nell’organizzazione.

Il Network è formato, alla data di oggi, da 229 città di ogni continente, tra le quali le italiane Fermo, Lucca, Palermo, Trieste e Torino. Si tratta di un progetto di grande rilevanza per diversi motivi, tra i quali a noi piace estrarne uno fondamentale: si propone di trasformare il modo di apprendere nel mondo.

Come gestire l’aula fisica e virtuale

L’aula, fisica o virtuale, condotta da un formatore o una formatrice è stata, a memoria d’uomo, l’incarnazione stessa del concetto di formazione. Poi sono comparse le nuove tecnologie e sono cominciati i primi esperimenti di digitalizzazione.

L’aula ha dovuto cedere un po’ di terreno a favore di nuovi, ulteriori canali e oggetti didattici. Tanto che è stato necessario coniare un termine che indicasse specificamente questa attività differenziandole dalle altre. Nascono così gli acronimi ILT e vILT – Instructor Led Training e virtual Instructor Led Training –, a indicare rispettivamente le aule svolte in presenza e quelle in teleconferenza.

 Poi è arrivato il Covid e le aule in presenza sono state spazzate via dall’oggi al domani, mentre quelle a distanza si moltiplicavano tra mille dubbi e difficoltà.

E ora che succederà? La formazione d’aula scomparirà definitivamente, tornerà come prima, oppure resterà con noi ma qualcosa è comunque cambiato per sempre?  

Un’indagine di The Ken Blanchard Company condotta presso oltre 800 addetti ai lavori ci dà una prima risposta. I rispondenti all’indagine hanno indicato questi tre come i metodi di erogazione principali che si aspettano di utilizzare:

coaching,

vILT,

apprendimento autogestito (self-paced eLearning).

A una domanda specifica sull’uso delle aule tradizionali, hanno previsto un’inversione di proporzione:

  • le aule fisiche passeranno dal 70% dell’attività complessiva pre-Covid al 34%;
  • le aule virtuali dal 14% al 40%;
  • l’apprendimento autogestito dal 16% al 25%.

Possiamo perciò dire che ILT e vILT continueranno a far parte del bouquet di offerta di apprendimento nelle aziende, anche se non vestiranno più la corona di sovrani assoluti. La previsione di un quasi raddoppio dell’attività autogestita, fino ad arrivare a un quarto di tutto l’apprendimento, indica infatti una tendenza decisamente significativa.

L’aula fisica o virtuale continuerà ad avere un suo ruolo. In particolare, è l’ambiente dedicato ad attività quali condivisione di conoscenze e di esperienze, approfondimenti critici, esercitazioni pratiche individuali e soprattutto di team.

Resta comunque il carico di lavoro necessario per far funzionare un’attività caratterizzata da rigidità organizzative, logistiche e amministrative intrinseche impossibili da eliminare.

Tanto più che il panorama blended aumenta ulteriormente la complessità, quindi il peso di ogni piccola inefficienza si riverbera moltiplicato per tutto il sistema. La differenza, rispetto anche solo a poco tempo fa, è che oggi sono disponibili strumenti specializzati che permettono di gestire queste attività in modo molto più efficiente ed efficace.

Il nostro partner Training Orchestra fornisce proprio questo servizio: un sistema di gestione che consente di

  • ottimizzare i costi,
  • ridurre il carico di lavoro organizzativo e amministrativo,
  • ottenere report molto dettagliati e precisi.

Ne abbiamo parlato in un webinar congiunto nel settembre 2021, di cui puoi trovare un riassunto in questo post. Ma siamo sempre lieti di poter esaminare le soluzioni più adatte ai singoli casi, come già facciamo con i nostri clienti attuali. Anche questa è formazione digitale.

 

Il precettore di Alessandro Magno

Il digitale è pronto ad offrirci una personalizzazione della formazione ad un livello che non è mai stato praticabile finora.  O meglio, lo sarebbe se si avesse a disposizione un maestro individuale, come fu per Alessandro Magno il grande Aristotele, che ne seguì l’educazione intellettuale, nel IV secolo avanti Cristo.   Alessandro gli era debitore, secondo Plutarco, che riferisce questa frase: 

A mio padre devo la vita, al mio maestro una vita che vale la pena di essere vissuta.

Oggi grazie alla tecnologia è possibile cogliere l’opportunità di una personalizzazione eccezionale. Serve però cambiare mentalità in azienda: dal riversare contenuti addosso alle persone, l’azienda ed i suoi professionisti della formazione si devono orientare verso una strategia di verifica e misurazione: del canale di apprendimento di ciascuno, di quanto sa e non sa, di quanto ha imparato, di quanto ha applicato, di che risultati genera sul business la formazione erogata.

Parlo di identificare le differenze tra learner e learner, proprio comprendendo in che modo ciascuno apprende. Con uno scopo pratico:  influenzare le prestazioni delle persone nel lavoro quotidiano. In che direzione voglio cambiare i comportamenti lavorativi ?  Si devono definire gli obiettivi strategici di performance.

Io ho imparato, facendo formazione aziendale nel mondo anglosassone, ad usare strumenti come Mager o Bloom ma soprattutto ho imparato che il cambio di paradigma inizia dall’identificazione di dove vogliamo andare e dalla misurazione, trasparente e costante, di obiettivi strategici di performance,  aggiustando il percorso nel prosieguo.

Spesso in Italia si tende ad erogare contenuti e riempire i discenti come vasi, indipendentemente dalla loro capacità e da quello che devono farne.

Esistono dei test per misurare il modo prevalente (canale) con cui ciascuno apprende. L’approccio che prevede di definire le learner personas aiuta la progettazione orientata alla personalizzazione della formazione.

Ma il segreto sta nel:
  • fornire percorsi di apprendimento molteplici perché ciascuno di noi ha profili molteplici, che ci accomunano a volte all’uno a volte all’altro profilo delle learner personas, non a uno solo
  • creare fiducia nella qualità degli oggetti di apprendimento. Testarli su piccoli gruppi prima di rilasciarli. Chiedere feedback
  • personalizzare gli oggetti di apprendimento, per rispondere con maggiore precisione ai bisogni da apprendimento individuali

Tutto questo è possibile, progettando le azioni di cambiamento che si vogliono ottenere. Ci aiuta il  Learning Cluster Design di Owens-Kadakia, cioè il metodo OK-LCD, che ritengo il più adatto ad un contesto di apprendimento volatile, incerto, complesso e ambiguo come quello odierno. Nella prossima puntata spiegherò come lo uso.  Chi vuole saperne subito di più trova a questa pagina la possibilità di acquistare il libro che descrive il metodo.

Una strategia che trasforma la formazione

Che tu sia un responsabile risorse umane, un direttore commerciale o un responsabile di rete esterna (partner, franchisee, installatori) avrai compreso che non si torna indietro e le riunioni in presenza sono un ricordo, un pò come le adunate di piazza per ascoltare un comizio politico. Il digitale integra tutte le funzioni tradizionali.

Perché è efficace e perché la tecnologia lo rende bello e gradevole.

Ma è la tua STRATEGIA che lo deve mettere in atto

per ottenere il cambiamento delle teste delle persone che equivale a un cambiamento dell’apprendimento.

Parlo di apprendimento perché è il solo modo di trasformare le persone.

La formazione e il training sono ad una via. L’apprendimento è un percorso dentro di noi che ci trasforma. Solo se ci impegniamo. E qui viene il tema del piacere: solo se piacevole, come un film, come una pubblicità, come un abbraccio affettuoso, l’apprendimento genera emozione e rimane dentro di noi: ci trasforma.

Detto quindi il perché, ora passiamo al cosa. Lo strumento che modifica i comportamenti sul campo è uno strumento fatto di 5 passi, descritti nel libro Il design della formazione che trovi qui tradotto da APPrendere.

  1. Riassumi ciò che sai. Tramite test, verifica quello che sai: è già lì, non occorre ripeterlo!
  2. Approfondisci ciò che sai poco o che non ricordi bene: serve meno fatica per risvegliare la memoria rispetto ad imparare cose completamente nuove. Ma un po’ di sforzo serve!
  3. Aggiorna l’esistente: le competenze vanno manutenute e aggiornate. Usa ciò che sai per identificare ciò che non sai.
  4. Circòndati di oggetti di apprendimento: utilizza ogni occasione per ripetere, libri, podcast, video, continuamente ripetuti i concetti appresi rimangono nella memoria e si sedimentano.
  5. Traccia la trasformazione dei risultati misurando con indicatori di misurazione i miglioramenti effettuati.

Questo metodo, che Owens e Kadakia hanno battezzato Learning Cluster Design, è il futuro della formazione e addestramento. Come vogliamo che sia l’apprendimento tra 7 anni dobbiamo deciderlo oggi!

Chi è l’Instructional Designer, e che cosa fa

La figura dell’Instructional Designer è una sintesi molto efficace di uno dei principi che è indispensabile assimilare nell’avvicinarsi alla formazione digitale. Cioè: si tratta di un universo completamente nuovo rispetto a quanto siamo abituati da sempre.

Il mondo digitalizzato è fatto in modo sostanzialmente diverso dal mondo analogico in cui praticamente tutti noi siamo cresciuti e abbiamo imparato a vivere e lavorare. Una visione molto interessante e chiara è offerta ad esempio dal libro Il Design della formazione di Kadakia e Owens, appena uscito in Italia a cura di APPrendere.

Il metodo e i contenuti del lavoro di Instructional Designer sono tipici del mondo digitalizzato.

Innanzitutto, un’osservazione sul nome: già il termine “designer” è molto indicativo, a cominciare dal fatto che evoca una fusione di metodo oggettivo e creatività da esercitare volta per volta, in ogni singolo caso diverso.

Proprio come un designer di moda o di interni, o di oggetti d’uso, il lavoro dell’Instructional Designer consiste nel creare qualcosa di unico e personalizzato. Non “corsi di formazione” da rivendere e replicare, bensì ambienti in cui le persone possano muoversi per apprendere nel modo più fluido e confortevole possibile.

Dicendo “personalizzato” intendiamo su misura per l’azienda o per l’organizzazione che eroga l’attività formativa. E nello stesso tempo su misura del singolo individuo che fruisce della formazione.

L’Instructional Designer non sostituisce il docente, giacché risponde a un’esigenza che prima non esisteva. È un esperto di metodo, è la persona che conosce i diversi modi di organizzare nel modo più efficace ed efficiente le attività di formazione, le risorse e gli oggetti formativi.

Il suo compito è particolarmente complesso e articolato proprio perché richiede la conoscenza delle svariate possibilità e opportunità potenzialmente utilizzabili.

Come minimo bisogna che:

  • conosca le teorie dell’apprendimento e gli approcci metodologici,
  • sia in grado di leggere il contesto e definire gli obiettivi di apprendimento,
  • sappia individuare gli strumenti, i task, le misurazioni più adatti,
  • sia aggiornato su funzionamento e potenzialità di LMS, TMS, authoring tools e di tutti gli aspetti tecnologici.

Poi ci sono gli esperti del contenuto, che affiancano il designer. Nella formazione moderna la lezione in aula tenuta da un docente continua ad esistere, ma non più come la soluzione principale, bensì come una delle possibili opzioni. Gli esperti di contenuto a cui si rifa il Designer non sono necessariamente docenti o formatori, anzi. Spesso sono manager, tecnici, professionisti che contribuiscono con la loro conoscenza specializzata.

Dunque organizzare l’apprendimento oggi è un lavoro di squadra: servono progettisti, esperti di contenuti, sviluppatori ed esperti di tecnologia nelle sue più diverse forme e declinazioni… È una delle caratteristiche della formazione digitale: da soli non si va più da nessuna parte.

Il nuovo paesaggio della Formazione Digitale

L’epoca delle aule fisiche e della formazione in presenza è terminata? La risposta è no. È certamente vero che questi due anni di pandemia hanno dato una forte accelerazione all’uso degli strumenti digitali, a partire dai webinar e dalle riunioni in Zoom, Microsoft Teams e simili. Ciò ha permesso a molti di scoprire potenzialità finora trascurate, ma non significa che siamo destinati a stare sempre e solo online.

In aula si tornerà certamente (si sta già tornando, in verità). Solo che non sarà tutta lì, la formazione. Il digitale può andare ben oltre e le sue potenzialità hanno molte forme e molti ritmi. Ma per coglierle tutte, queste potenzialità, bisogna fare un passaggio trasformativo e cogliere il modo specifico in cui funziona il mondo digitalizzato.

Quello che conta non è tanto conoscere singoli strumenti, quanto adottare un nuovo approccio metodologico di base. Una metafora nuova.

La formazione come l’abbiamo conosciuta fin qui ha la forma di un “percorso”, una strada che va dal punto A dell’ignoranza al punto B della conoscenza.

La formazione del XXI secolo (digitalizzato) ha la forma di un paesaggio multiforme, dentro il quale muoversi in tutte le direzioni facendo esperienze di apprendimento.

Chi progetta ed eroga la formazione è sempre meno un docente e sempre più un designer e un facilitatore di apprendimento. È questo il termine centrale: apprendimento, non insegnamento. Questo passaggio da un concetto all’altro è il perno del cambiamento di cui sopra. Il protagonista è colui che apprende, non colui che insegna. 

Il protagonista del nostro lavoro di progettazione ed erogazione della formazione non è più il passeggero di un autobus guidato da altri lungo una strada a lui sconosciuta.

È invece un esploratore, che si muove dentro l’ambiente preparato dall’Instructional Designer.

E coglie le attività, gli spunti, i contenuti, le modalità più adatte alle sue preferenze di pensiero, alle sue circostanze logistiche, alle conoscenze che già possiede.

Ecco dunque che il corso di formazione unico si articola in tanti elementi di forma, durata e caratteristiche differenti. Incontra così in modo personalizzato e tempestivo le esigenze e le predisposizioni di apprendimento dei learner, e proprio per questo diventa più efficace che mai.

Il digitale è lì pronto ad offrirci un livello di personalizzazione che non è mai stato praticabile finora. Fatta eccezione per i rampolli delle famiglie nobili e ricche che avevano il loro istitutore personale. Per cogliere l’opportunità serve però cambiare mentalità. Attrezziamoci dunque per disegnare nuovi paesaggi formativi.