Formazione e tecnologia: un nuovo modello di apprendimento
“Lo sviluppo di un nuovo modello di formazione legato alla tecnologia è il Sacro Graal degli ultimi 20 anni”. È l’osservazione con cui il prof. Luca Solari ha aperto la conversazione con il nostro CEO Edoardo Gironi tenutasi all’Università degli Studi di Milano il 6 giugno 2022.
Ed è stato il tema centrale del dibattito, durato oltre un’ora e arricchito dagli interventi del pubblico presente. Un’esplorazione a ruota libera di cui abbiamo cercato di fissare alcuni punti significativi.
Autonomia o controllo?
Il prof. Solari ha detto di essere rimasto particolarmente colpito dal concetto di surround. È una delle 5 azioni che compongono il modello LCD e prevede di predisporre una serie di oggetti di apprendimento di cui il learner fruirà in autonomia. È uno dei principali punti dolenti per i formatori odierni: quello del controllo. Se non ho le persone sott’occhio, come faccio a controllare che imparino?
La verità è che l’apprendimento coatto non esiste. È semplicemente impossibile. In questo campo il controllo è un’illusione.
L’apprendimento si realizza davvero quando una persona decide di apprendere.
Tale decisione prende vita quando le persone trovano qualcosa di significativo e adatto a loro, in termini di spazio, tempo e modalità. Il nuovo paradigma riguarda non solo la formazione in sé, ma tutta la cultura di un’organizzazione. Finché tratti i dipendenti da adolescenti, con sistema di controllo e punizione, avrai una risposta del tipo “meno posso fare e meno faccio”. Si tratta di cambiare approccio e puntare sulla responsabilizzazione dei learner (adeguatamente motivati).
Relazione significativa
Le neuroscienze sottolineano l’importanza centrale della creazione di relazioni interpersonali significative durante l’apprendimento. E il nuovo modello di formazione riserva ampio spazio a questo aspetto, a partire dall’adozione della flipped classroom.
In aula non si va per ascoltare l’esposizione di contenuti da studiare dopo a casa. Al contrario: temi e concetti li si studia prima, usando gli oggetti di apprendimento predisposti. In aula fisica si va dopo, a fare condivisione, sperimentazione ed esperienze.
Le condivisioni e le collaborazioni possono aver luogo anche in situazioni diverse dall’aula. Forum e messaggerie sono le prime cose che vengono in mente, ma la creatività dei facilitatori può elaborare le soluzioni più diverse.
Ogni instructional designer sa bene che tra i suoi compiti principali c’è quello di creare le condizioni e gli ambienti adatti per il social learning.
La skill fondamentale
Che cosa deve saper fare un professionista per realizzare il nuovo modello di formazione con il supporto della tecnologia? Qual è la skill fondamentale di un L&D manager oggi? La risposta è semplice ma impegnativa.
Spostare l’attenzione dal task allo sviluppo personale.
Si tratta di passare da una logica di reattività a una di proattività. Autonomia, motivazione e responsabilizzazione delle persone richiedono un atteggiamento radicalmente diverso dalla formazione tradizionale. Cioè: i learner non sono discenti da addestrare, ma individui da aiutare a crescere, come persone innanzitutto.
Intentional Learning: l’apprendimento è ovunque
Intentional learning: ovvero quando la persona che vuole imparare agisce in modo proattivo. Come si diceva una volta: con piena coscienza e deliberato consenso. Le persone, specie in età adulta, imparano davvero qualche cosa soltanto quando ne hanno un interesse reale. Quando lo vogliono davvero.
L’aggiornamento (apprendimento) continuo è strategico non soltanto per le organizzazioni ma anche per le singole persone. È fondamentale per non trovarsi tagliati fuori da un mercato del lavoro che non smette più di evolvere e trasformarsi.
Come si comporta un learner intenzionale, cioè una persona che si prende cura attivamente della propria formazione continua?
Ne hanno parlato in questo articolo di un paio di anni fa Lisa Christensen, Jake Gittleson e Matt Smith, esperti di McKinsey. La base di tutto è un concetto di apprendimento molto diverso da quello di formazione tradizionale. Cioè:
ogni momento è buono per apprendere, anche e soprattutto quelli non formali.
Intentional learning significa avvicinarsi ad ogni situazione con l’intenzione di trarne un apprendimento, grande o piccolo che sia. Può essere una riunione, una telefonata, la stesura di un report, la partecipazione a un evento. Se ci arrivi con la giusta consapevolezza, anche l’accadimento più piccolo può essere utile alla tua crescita.
Servono per questo almeno due caratteristiche. Avere quello che Carol Dweck ha chiamato growth mindset, cioè la consapevolezza che è sempre possibile crescere e imparare. E coltivare sempre la curiosità, cioè l’apertura alle nuove idee e la capacità di fare connessioni tra concetti differenti.
Su queste basi, apprendere in modo intenzionale è il risultato di una sequenza di azioni deliberate molto semplice:
- individua in quali aree vuoi accrescere la tua conoscenza o le tue competenze;
- definisci obiettivi molto precisi e focalizzati;
- sperimenta;
- chiedi feedback esterni.
E assicurati di avere sempre lo spazio mentale e il tempo per riflettere con attenzione su ciò che stai facendo e apprendendo, così da mantenere viva una consapevolezza puntuale dei tuoi bisogni e dei tuoi progressi. È quello che gli anglosassoni chiamano deliberate practice.
Quando si tratta di formazione digitale il discorso cade di solito su argomenti quali il software i dispositivi le piattaforme. Ma è altrettanto fondamentale il modo in cui si pongono e agiscono le persone in apprendimento.
Se continuiamo ad avere discenti anziché learner, nemmeno il cluster digitale meglio progettato potrà dare i risultati desiderati.
Creare la Learning Experience
Learning experience, ovvero: perché non basta comprare tecnologia per avere una formazione che funziona. Il nostro partner Docebo è uno degli LMS più solidi e potenti al mondo. Ricco di articolazioni e funzionalità, può davvero portarti in mille direzioni, come i leggendari mega-svincoli delle grandi highways: i learner più differenti possono trovare ciascuno la strada più adatta a sé.
Possono trovarla, però, non significa che sicuramente la troveranno. Dipenderà infatti dalla qualità dell’esperienza che potranno vivere. Proprio questo è uno dei compiti irrinunciabili degli specialisti di formazione digitale: curare la learning experience.
Non c’è apprendimento senza coinvolgimento.
Ciò, in verità, è sempre stato vero. Ma nell’ambiente digitale diventa un imperativo ancor più stringente. Curare l’esperienza dell’utente sull’LMS significa facilitargli la vita nella ricerca dei contenuti migliori per lui, utilizzando al meglio i numerosi e differenti strumenti a disposizione.
Come tutti nel mondo attuale, anche i professionisti della formazione digitale si trovano a operare in un ambiente complesso, dinamico e mutevole. La sfida continua è trovare le soluzioni più adatte pescando in una gamma di strumenti molto ampia. Si va dall’Intelligenza Artificiale al social learning, dalla gamification al microlearning e a molte altre sfaccettature.
Il concetto di learning experience è il riferimento per creare il giusto coinvolgimento che ogni learner si aspetta di trovare una volta che accede all’LMS.
Come si crea una buona Learning Experience?
Non esiste una sola risposta. Ad esempio, la forza vendita ha apprende soprattutto in mobilità, quindi lo sforzo sarà di allestire la piattaforma in funzione della fruizione mobile. Per chi lavora su macchinari specifici la necessità è capire come si usano e quali sono i rischi di uno scorretto utilizzo. Mentre i neoassunti hanno bisogno di acquisire le conoscenze generali di base.
Insomma, l’unica regola universale è quella di ricordare che esistono differenti necessità, comportamenti, ritmi e modalità di apprendimento.
Alla base ci sono due professionisti: l’esperto di user experience (UX) e l’esperto di user interface (UI). Il primo analizza i dati dei learner e le esigenze aziendali e crea un primo prototipo di una esperienza formativa.
Successivamente l’esperto UX ha il compito di creare un buon bilanciamento tra estetica e fruizione dei contenuti. Questo non significa semplicemente scegliere le immagini belle o il font adatto, anzi. Si tratta di saper gestire le molteplici variabili in gioco per decidere come e dove inserire i vari contenuti in modo che la fruizione sia fluida ed efficace.
Quanto sopra è la base per la creazione della learning experience, la quale poi – secondo il metodo APPrendere – verrà sviluppata in collaborazione con il cliente.
Per tale sviluppo servono ulteriori professionalità, che possono cambiare in funzione del tipo di progetto.
Servirà il lavoro di un buon graphic designer, ad esempio. Inoltre, le competenze di un developer che conosca HTML e CSS sono indispensabili per la personalizzazione specifica della learning experience, andando oltre gli standard della piattaforma usata.
E ancora. Un esperto della materia su cui verte l’apprendimento per assicurare la qualità dei contenuti, ma anche un esperto di story telling, un videomaker, un musicista. Non ci sono davvero limiti all’eterogeneità di un team dedito allo sviluppo della learning experience digitale.
Lo scopo finale è fare in modo che il learner viva un’esperienza tanto piacevole quanto utile, e quindi torni volentieri per continuare la sua crescita, professionale e personale.